Una chiesa senza voci?

Enzo Bianchi

In questa stagione, nella quale è ritornata con prepotenza la barbarie specie in politica e nella vita della società, mi assale la tristezza per l’inadeguatezza della Chiesa, o meglio dei cristiani, la loro incapacità di reagire.

E invece devo constatare che la crisi attraversa anche la Chiesa e si manifesta come diminutio: una Chiesa sempre più ridotta alla diaspora e a piccole comunità che devono decidere se essere significative in un mondo di indifferenza, o diventare realtà sfilacciate fino a scomparire, o ancora rimanere come mere manifestazioni tradizionali, folcloristiche, da alcuni chiamata “religione popolare”.

Uno degli obiettivi della recente inchiesta condotta da Demos era quello di mettere a fuoco le passioni degli italiani. Dai dati raccolti si evince che rispetto al 2016, dunque in otto anni, sono avvenuti alcuni mutamenti significativi, tra i quali si registra una forte caduta di interesse per il fenomeno religioso: da 72 a 60 punti su 100.

Da annotare che la realtà religiosa è l’unica “passione degli italiani” a perdere quota, mentre risalgono la squadra di calcio e persino il partito politico. L’accelerazione del fenomeno negli ultimi due decenni non può non destare una certa ansia nei credenti e suscitare domande che esigono una risposta da parte dei vescovi, dei presbiteri e anche da parte del popolo chiamato “popolo di Dio”. 

Resta comunque vero che la Chiesa non ha più una capacità di attrazione. Solo Papa Francesco ha una voce, ma i vescovi stessi appaiono afoni e nessuno tra loro, almeno in Italia, ha acquisito in questi ultimi due decenni l’autorevolezza di cardinali come Pellegrino, Martini, Ursi, Siri, Pappalardo: una sola voce e le altre spente, o comunque inascoltate. 

Ora il Papa con il suo carisma e la sua profezia raggiunge molti, ma per un’appartenenza ecclesiale ci vuole una parola nella chiesa locale. Se non si ritorna a una comunità locale dove si ascolta la Parola e si diventa un solo corpo nell’Eucaristia lo sfilacciamento continuerà.

Una Chiesa con una “Messa sbiadita”, dice l’autorevole sociologo cattolico Diotallevi, una “Messa che è finita” e una comunità che è tale di nome ma non conosce la sua essenza, che è la fraternità, non può attraversare l’attuale mutamento di portata epocale.

Una chiesa al cui interno si combatte una guerra sui riti della Messa con un’epifania di cattiveria e violenza, con una nebulosa neotridentina che sui social attacca il Papa in modo indecente, una Chiesa che appare incapace di manifestare la differenza cristiana e di annunciare la buona notizia della vittoria di Cristo sulla morte, induce molti a lasciarla perché non trovano più in essa né il lievito del Regno di Dio né il sale della sapienza.


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