Donne autorevoli

Christine Schenk

Le prove che ci giungono dall’iconografia e dalle iscrizioni sulle tombe riguardo alle donne del cristianesimo primitivo, insieme agli scritti contemporanei sulle “madri della Chiesa”, dimostrano che le donne hanno esercitato forme di governo nel servizio come vedove iscritte (nel catalogo delle vedove), diaconesse, guide di chiese domestiche e monasteri, evangeliste, insegnanti, missionarie e profetesse. In molti casi, le donne hanno governato altre donne anche se ci sono eccezioni rilevanti come quella della diaconessa Marthana di Seleucia (Turchia), che governò un monastero doppio nel sito del martirio di Santa Tecla. Queste donne del cristianesimo primitivo liberamente hanno testimoniato e predicato nonostante la forte opposizione da parte di uomini del loro tempo.

Ci si potrebbe chiedere a ragion veduta da dove siano venute quella forza e quell’autorità interiore che hanno spinto donne della Chiesa primitiva a ignorare i tentativi di ridurle al silenzio. Io credo che quello che ha spinto le donne a parlare piuttosto che rimanere in silenzio sia stata la loro fede nel Cristo risorto.

Il sarcofago qui sopra riprodotto, con ritratto femminile, databile ai primi tre decenni del IV secolo. (Foto © Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano), che andiamo a esaminare fornisce un indizio su come almeno una donna cristiana (che chiameremo Junia”, poiché il suo vero nome è sconosciuto) ha compreso quale fosse la fonte della sua autorità interiore.

Al centro della figura Junia tiene nella mano sinistra un codice mentre la destra è sollevata in gestualità di oratore. Ai suoi due lati, scene bibliche che rappresentano (da sinistra a destra): Dio Padre con Caino e Abele; Cristo con Adamo ed Eva; la guarigione del paralitico; la guarigione del cieco nato; il miracolo di Cana e la resurrezione di Lazzaro. Alcuni anni prima di morire Junia, o la sua famiglia, aveva commissionato questo sarcofago scolpito in modo unico, per commemorare lei e i valori che avevano plasmato la sua identità.

E’ ragionevole pensare che Junia desiderasse che i suoi cari entrassero in uno spazio liminale per sperimentare la potenza di Cristo nel capovolgere gli effetti della caduta – con la guarigione del cieco e dello storpio – fornendo vino in abbondanza nel nuovo Regno di Dio e risvegliando Lazzaro (e Junia) dai morti.

Dove aveva trovato, Junia, l’autorità per testimoniare e insegnare Cristo? Un suggerimento può darcelo l’espressione del suo volto, scolpito vicino a quello di Cristo che si china verso di lei, con la bocca aperta, come se stesse mormorandole qualcosa nell’orecchio.

Junia e la sua famiglia volevano che fosse ricordata come una persona che aveva insegnato con l’autorità di Cristo. Le persone che la rimpiangono non comunicano soltanto con la defunta Junia ma anche con il Cristo che guarisce e solleva attraverso il significato evocato e “realizzato” dall’arte sul suo sarcofago. Junia esorta i vivi ad abbracciare Cristo che ha autorizzato il suo ministero e al quale ella rende testimonianza persino oltre la morte.


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