III domenica di Quaresima anno B

Es 20,1-17   –   Sal 18   –   1Cor 1,22-25   –   Gv 2,13-25

Ma che cosa c’è di male nella scena che si presenta a Gesù nel tempio? Trova chi vende buoi, pecore, colombe ai fedeli che vi salivano venendo anche da lontano e che non avrebbero potuto portare con sé gli animali per il sacrificio rituale. I cambiamonete poi, con i loro banchi, erano una presenza necessaria perché nel tempio potevano entrare solo monete in cui non erano effigiate immagini umane o di animali (Es 20,4).

Gesù si trova davanti ad una realtà che era non solo consentita ma prescritta dalle leggi cultuali. Dalla Legge. Senza quell’apparato non si può rendere culto a quel Dio che ha la sua dimora nel sancta sanctorum del tempio.

Possiamo quindi capire che i Giudei chiedano a Gesù un segno che giustifichi la sua impetuosa reazione. Con quale autorità scacciava queste persone dal tempio? In nome di chi? La sua risposta è sconcertante, ancora di più se seguiamo alla lettera il testo greco: ”Sciogliete questo tempio e in tre giorni lo risveglierò”. Verbi alquanti strani per un edificio di pietra. Ma lui, come specifica l’evangelista qualche versetto dopo, si sta riferendo al tempio del suo corpo. Il segno.

Ritornando alla domanda iniziale riguardo alla descrizione del tempio, col suo viavai di fedeli e la presenza dei venditori e cambiavalute che Gesù butta fuori in malo modo, forse potrebbe fornirci uno spunto di senso quello che per gli ebrei è il primo comandamento del Decalogo, riportato nella prima lettura di oggi: ”Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile.”

Tali parole sono il fondamento dell’Alleanza e di tutta la Legge: dichiarano che Israele è stato affrancato da una condizione di schiavitù, di asservimento, di “non persona” (tali erano gli schiavi nel mondo antico), per grazia divina, per un dono del Signore che ha ascoltato il suo grido di disperazione.

Questo primo comandamento ricorda ad Israele che è un popolo libero, fatto di persone libere e che lui, il suo Dio, non vuole nulla in cambio, se non che lo ami, cioè osservi la Legge. Dio si rivolge a persone ormai libere, che possono quindi accogliere le sue richieste oppure rifiutarle. E se le accolgono è perché capiscono che è l’unico modo per vivere pienamente e felicemente.

La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima” (Sal 18,8), “I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore” (18,9). Non si tratta di obbedire ciecamente e meccanicamente a dei comandi di cui non si capisce il senso bensì di interiorizzarli, di calarli nella propria vita.

Ma la fede può diventare rito praticato senza anima, senza cuore, senza intelligenza, senza relazione con Dio. Un atteggiamento che assolutizza le cose da fare per essere amati da Dio, scindendole però da Dio e che nasconde un’idea di Dio deviante, pagana: bisogna meritarsi (comperarsi?) il suo amore sacrificando delle vittime, osservando scrupolosamente, ossessivamente tutte le prescrizioni di purità rituale (e non dobbiamo pensare che riguardi solo i giudei del tempo di Gesù), per farlo contento e tranquillizzare la coscienza.

Forse Gesù ha reagito con tale furia alla scena che gli si è presentata al tempio per liberare e guarire quelle persone da un’idea sbagliata di Dio, un’idea che le rende schiave di riti la cui pratica è svuotata di senso, non è relazione con Dio.  E il segno che gli chiedono provocatoriamente i Giudei è il suo corpo, che sarà distrutto proprio da loro e sarà risvegliato il terzo giorno. Il segno che identifica il suo Dio, che non chiede nulla alle sue creature ma dona loro la vita del Figlio perché siano salvate, vivano e comunichino vita.

Forse abbiamo bisogno anche noi, come singoli e come Chiesa, di interrogarci su cosa intendiamo per sacro e per culto. Se il vero tempio di Dio è l’uomo vivente (1Cor 3,16: “voi siete il tempio di Dio“), allora la sostanza del nostro rendere culto a Dio si misura su come ci relazioniamo con i nostri simili. Quanto più lo spirito di Dio abiterà in noi, in ascolto del Figlio, tanto più ci renderà capaci di realizzare il regno di Dio e la sua giustizia.

Enrica Salvato, Maristella e Marco Crisma


Una risposta a "III domenica di Quaresima anno B"

  1. Non del “tempio” dobbiamo preoccuparci, non delle “pietre”, non del mercato dove con il denaro ti compri un bue, un olocausto, una preghiera e la benevolenza del tuo Dio: non fanno così anche gli adoratori di idoli? Non del ναοῦ ma del σώματος dobbiamo preoccuparci: del Cristo incarnato dobbiamo avere cura, dell’Emanuele il Dio con noi, dei corpi fatti di carne e ossa, degli uomini, del tessuto di relazioni che fanno abitare un territorio come una “casa”. La casa dove c’è un “Padre” che mi accoglie, dove ci sono tanti “fratelli”… Abitare una casa, non un mercato.

    "Mi piace"

Lascia un commento