Paolo da nemico ad apostolo

Francesco Gasparini

Saulo è un persecutore della causa cristiana, ma non un fanatico, anzi ci incontriamo con un uomo di cultura, uno che è nato e cresciuto in una città multietnica, Tarso in Cilicia. Lì è cittadino dell’impero romano e userà con orgoglio questa dignità, presentandosi in tutte le sue lettere con il suo secondo nome schiettamente latino, Paolo.

Egli ha approfondito le sue radici ebraiche alla scuola di Gamaliele. Il suo astio contro i cristiani gli viene proprio dal suo zelo religioso! Saulo è convinto di combattere i cristiani in nome di Dio!

Nel suo zelo di fariseo osservante usava tutti i mezzi a sua disposizione, non esclusa la violenza, per mantenere l’unità del popolo nella scrupolosa osservanza della Legge dei Padri. La tentazione della violenza tante volte è sembrata e sembra una strada anche ai cristiani…

L’unico modo per cambiare Saulo è scaraventarlo a terra, farlo cadere. Una folgorazione lo fa incespicare. L’Apostolo, per definire quella sua vicenda, scrivendo ai cristiani di Filippi, ricorre ad un folgorante verbo greco, katelemften, cioè fui afferrato, oppure ghermito, conquistato, impugnato da Cristo.(Fil 3,12).

A volte la conversione (anche nostra) passa proprio attraverso una caduta, un problema, un fallimento. Saulo si rialza cieco perché la cecità è la condizione della sua anima, allora inizia a riflettere! Si accorge che ha bisogno di luce per la sua vita.

Egli cade a terra e perde tutte le sue certezze ben radicate nel suo io e nel suo orgoglio. Cade dal proprio io per lasciarsi afferrare totalmente da Gesù e dal suo vangelo.

La prima luce si accende quando il Signore gli rivela l’unità profonda fra Lui e i suoi discepoli. Chi sei o Signore? Ed egli: Io sono Gesù che tu perseguiti. Ha così la prima rivelazione dell’unità del “corpo di Cristo” di cui parlerà sovente nelle sue lettere: tutti siamo membra di Cristo per la fede in Lui e in questo consiste la nostra vera unità.

Paolo starà nella cecità fino a quando incontra il pauroso Anania. Rimane cieco per tre giorni e quando viene battezzato si dice che i suoi occhi si illuminano ed egli si alza, Il verbo greco usato dal testo, anastàs, è lo stesso che viene usato per la risurrezione di Gesù.

Ai tre giorni oscuri del sepolcro subentra il levarsi luminoso della risurrezione-rinascita.

Possiamo essere convertiti con un evento improvviso, oppure la nostra conversione dura da decenni: oggi ne facciamo memoria… per camminare lesti!


Lascia un commento