Gesù Parola ultima

Dario Vivian

Nel racconto del buon samaritano, Gesù provoca il dottore della Legge proprio a riguardo delle Scritture: “Cosa sta scritto? Come leggi?”. La domanda prospetta l’ermeneutica continua, che siamo chiamati a fare, affinché la Parola contenuta delle Scritture (la Legge) sia accolta e condivisa quale parola di Dio.

In questo processo è fondamentale l’atteggiamento di prossimità, che fa emergere dal profondo delle realtà di vita la Parola, recepita come parola di Dio. Nella prossimità a tutto e a tutti si intuisce la Prossimità stessa che si dona, nello Spirito che ci inabita dal di dentro e dà vita in ogni situazione di morte.

Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture” (Lc 24,44-48): Gesù spalanca la mente all’intelligenza delle Scritture, permette di uscire da una modalità di accostarle dentro uno schema fisso. Le Scritture divengono parola di Dio nella misura in cui la mente si apre oltre le forme che chiudono, per cogliere la Parola vibrante che sta dentro/sotto le Scritture stesse.

Non è soggettivismo o relativismo, ma riferimento esemplare alla vicenda di Gesù: le sue scelte, i suoi incontri, la sua storia. È Gesù stesso che riplasma l’immaginario su Dio, radicalmente messo in questione attraverso un travaglio, il cui culmine è la croce, là dove muore un modello di Dio. Ci affida così una consegna di libertà, un lavoro iniziato da Lui stesso.

Il riferimento alla risurrezione nel terzo giorno evidenzia come si tratti dell’avvio di un processo, tra il già e il non ancora. Qualcosa è iniziato, ma è un cammino aperto: la resurrezione non chiude, ma apre il percorso. “E’ soltanto l’aurora”, come disse papa Giovanni all’apertura del Vaticano II.

Questo nostro tempo è il tempo dello Spirito. Gesù è Parola ultima/definitiva non perché in Lui la Parola si è chiusa, ma perché apre il cammino; il riferimento alle Scritture va fatto aprendo la mente ad una Parola sempre nuova, che sgorga a contatto con le storie di vita, per azione dello Spirito che ci inabita.


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