XXXIII domenica del T.O. (anno A)

Pr 31, 10-31; Sl 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30. Eccoci arrivati anche quest’anno alla fine dell’anno liturgico che in questo anno A ci ripresenta la parabola dei talenti. Questo brano del vangelo, pur avendolo ascoltato e letto molte volte, ha il potere di mettermi ogni volta in crisi: anche solo soffermandosi sul frutto atteso dei talenti donati dal padrone, non è così scontato avvicinarsi alla logica del vangelo. Si parla di un padrone che allontanandosi dà ai suoi servi dei doni/talenti da far fruttificare in sua assenza.

«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì».

Sarebbe da capire intanto cosa si intende con la parola:” talento”, si tratta di una moneta con uno valore specifico; ma, abituati alla logica di Gesù immaginiamo che si tratti di altro. Gesù ci ha abituati a parlare di doni intesi come vita donata, Grazia donata dal Padre, un Padre però che non ci chiama servi, ma amici. Tornando alla parabola, se da un lato posso capire che il padrone tolga anche l’unico talento che il servo non ha saputo far fruttificare, dall’altro le parole del vangelo mi lasciano un po’ perplessa: «Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». 

Che cosa sono dunque questi talenti?  I nostri pensieri non sono i Suoi pensieri, le nostre vie non sono le Sue vie: la giustizia come la intendiamo noi non è la stessa intesa dal Padre….

Quale dei servi, allora ha agito bene, secondo la logica evangelica? Chi è dunque il servo che ha ricevuto un unico talento? Ha davvero avuto paura del padrone e di perdere quell’unica risorsa, o forse ha solamente voluto preservarla accontentandosi per ritornare al padrone quel poco ricevuto e conservato…un tempo sarei stata più sicura nel giudizio, alla luce di un cammino di lettura diversa della Parola, il mio giudizio non è più così certo. Il servo buono e fedele potrebbe essere proprio colui che rinuncia al successo, al calcolo di un interesse personale, per vivere invece di un amore disinteressato e condiviso.

«Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri».

Ci aiutano in qualche modo queste parole di san Paolo?  Siamo figli della luce? Capaci di  vedere dove sta il nostro tesoro?

Anche il  brano della prima lettura può aiutarci in qualche modo:

Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto.

La donna secondo me è l’umanità, un’umanità che conosce il cuore del Padre e confida in Lui e nel suo amore e sa che Lui saprà compensarla abbondantemente.

Il nostro timore del Padre non sia paura del castigo, ma timore di non essere uniti a Lui e amati come figli.

Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!

“Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone” 

Ti ringraziamo Signore, Padre nostro perché la Tua Parola, mai scontata, mai prevedibile, ci invita continuamente a cambiare il nostro modo di vedere, ad andare all’essenziale, puntando alle cose che contano senza perdersi nelle miserie della nostra umanità.

Maria Scutari


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