C’era una volta un re (1)

Giovanni Colpo

C’era una volta un re”. (Mt 18, 23-33). Inizia così la parabola che ci racconta Matteo, e potrebbe sembrare l’inizio di una fiaba. Ma questa non è una fiaba, è una parabola escatologica perché il Re è venuto a fare i conti con i suoi servitori.

È una parabola di giudizio quindi, che inizia subito male perché viene presentato al Re un tale che gli era debitore di diecimila talenti. E potrebbe finire peggio, perché ai debitori insolventi spetta la condanna alla schiavitù.

Matteo è l’unico evangelista che racconta questa parabola. E Matteo si intendeva bene di debiti, di tasse e di riscossione dei crediti, aveva fatto il gabelliere, era ancora un pubblicano seduto al tavolo delle imposte quando Gesù lo ha chiamato (Lc 5, 27-32).

Era Levi prima di incontrare Gesù, prima di convertirsi e cambiare vita per diventare Matteo. Levi conosceva bene la catastrofica situazione economica dei contadini della Galilea. Matteo aveva visto la faccia dei contadini che non potevano pagare, contadini che per prendere in affitto un terreno, per comprare una coppia di buoi avevano chiesto un prestito a proprietari che vivevano lontano, nelle città ellenizzate o anche all’estero. A questi “debitori” i proprietari terrieri mandavano periodicamente i loro operatori (i “pubblicani” appunto) a riscuotere affitti, imposte e a esigere il rimborso del denaro prestato. In caso di rifiuto, il contadino veniva arrestato per essere venduto come schiavo.

Non so se Gesù abbia raccontato davvero questa parabola, non so se queste sono parole sue o se sono parole di Matteo. Certo è che Gesù o Matteo se avessero voluto avrebbero potuto trovare nella Bibbia tutto un lessico specifico per parlare di “peccato”, di “colpa” e di “perdono”. E invece no: l’autore della parabola parla di “debiti” e “condoni”. Sono parole vicine alla vita quotidiana della gente, discorsi concreti, esperienze vissute del male che porta nella vita di qualsiasi uomo il “debito”: ti porta in prigione, ti riduce in schiavitù, ti rovina la vita, a te e alla tua famiglia, ti toglie la vita.

Questa parabola forse non è una riflessione teologica sul peccato, non è discorso a partire da Dio. Questa parabola è discorso sul male che tormenta l’uomo, è un discorso a partire dall’uomo.

Dunque, un debitore doveva restituire al Re diecimila talenti. Noi oggi non riusciamo proprio a immaginare il valore di diecimila talenti. Chi si intende di storia e conosce il valore del denaro nella storia dice che abbiamo a che fare con qualche milione di euro. Sembrerebbe impossibile per un privato cittadino contrarre un debito così elevato: quale banca, quale re sarebbe così ingenuo da concedere in prestito tanto denaro.

Milioni di euro è il debito di uno Stato, la finanziaria di uno stato, uno stato anche più grande delle piccole provincie della Palestina… E il debitore, il servo, non può che essere un funzionario, un satrapo come il governatore Pilato, messo però a governare una regione più grande della Giudea; poteva essere un tetrarca tipo Erode, o Filippo, ma tetrarca in un regno più grande della Galilea… Poteva essere anche uno come Levi, una figura a metà fra l’ufficiale pubblico e un libero professionista, concessionario in proprio, che dalla riscossione delle imposte tratteneva la sua percentuale di proventi…

Questo funzionario, incapace o disonesto che fosse, doveva restituire i diecimila talenti o finire in prigione.


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