Il Libro di Tobia (2)

Beniamino Pizziol

Tobia, il figlio di Tobi, accompagnato da un personaggio misterioso, che non sa essere in realtà l’arcangelo Raffaele, parte verso la casa del suo parente Raguele per riscuotere un debito pendente da anni.

Quando giungono nella casa di Raguele l’amore, che sboccia a prima vista tra sua figlia Sara e il giovane Tobia, crea una situazione imbarazzante, finché l’angelo non li assicura che non si ripeterà il caso dei sette mariti precedenti, tutti morti la sera delle nozze.

Il matrimonio viene celebrato secondo le usanze del tempo, in famiglia, con la benedizione del padre, la scrittura matrimoniale e il banchetto. Tutto in un clima di fede e di rendimento di grazie. Da ciò possiamo comprendere che l’amore reciproco dell’uomo e della donna è un dono di Dio. Tobia dice a Sara: Sorella, alzati! Preghiamo e domandiamo al Signore nostro che ci dia grazia e salvezza (Tb 8,4).

La storia di Tobi e Tobia si avvicina alla fine. Il finale felice è completo come si conviene a un racconto edificante. Torna a casa il figlio Tobia, che si è sposato con Sara; ha adempiuto l’incarico si riscuotere la somma di denaro prestata a guele, il padre Tobi, che esce incontro al figlio incespicando guarisce dalla cecità mediante il fiele del pesce, portato dal figlio.

Tutti si abbracciano e si baciano; fanno preghiere di benedizione e rendimento di grazie: perfino il cane partecipa a questa gioia scodinzolando. Si festeggiano le nozze per sette giorni.

Dio, attraverso il suo angelo (Raffaele significa Dio guarisce) protegge gli uomini e conduce a buon fine la loro vita. Tante volte facciamo l’esperienza di una malattia, di un dolore, come quella della pandemia, che poi possono rivelarsi anche come momenti di grazia.

Sappiamo reagire con una certa serenità e con atteggiamenti di fede davanti alle prove della vita? Sappiamo nei momenti di gioia rendere grazie a Dio?


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