Paolo e gli ebrei

Francesco Gasparini

Un meraviglioso esempio di carità ce lo dà Paolo nella Lettera ai Romani. Dai suoi compatrioti egli non ha ricevuto che opposizioni fortissime, vere e proprie persecuzioni, e lo vediamo molto bene negli Atti degli Apostoli e nelle sue stesse lettere.

Eppure egli non nutre sentimenti di rancore o di odio, ma solo il desiderio di condurre a salvezza questi suoi fratelli. La lettera ai Romani, sgorgata dal cuore di un grande innamorato di Cristo Gesù, ci dà in questo brano (Rm 9,1-5) espressioni dell’appassionato amore fraterno di Paolo verso il suo popolo.

Egli enumera i motivi per cui ha tanta dedizione per i suoi fratelli. Innanzitutto riconosce che gli Israeliti sono suoi consanguinei nella carne; sono suoi fratelli perché come lui sono progenie di Abramo; sono suoi congiunti poiché nelle vene di tutti scorre lo stesso sangue. inoltre gli ebrei sono il popolo che Dio ha onorato di privilegi unici: l’adozione a figli, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse i patriarchi. Infine dal popolo eletto è nato Gesù Cristo secondo la carne.

Egli è il punto di arrivo della storia di grazia del primo Testamento. Tutto converge a Cristo, la realizzazione di tutte le promesse di Dio. Ecco sta qui il grande dolore, la sofferenza continua di Paolo non hanno riconosciuto: il fatto che i suoi conterranei non hanno riconosciuto in Gesù il Messia.

Gli ebrei restano il popolo che Dio ha amato per primo; la Chiesa non può dimenticare che Gesù Cristo per via della carne appartiene a loro e che noi l’abbiamo ricevuto tramite loro. Ho nel cuore un grande dolore e una grande sofferenza, scrive Paolo, e giunge all’estremo: Vorrei io stesso essere anàtema,, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli. La cosa estrema che Paolo desidera, cioè, è di attirare su di sé la maledizione divina pur di ottenere la conversione di Israele.


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