La domanda diventa preghiera

Claude e Jacqueline Lagarde

Durante un incontro di catechesi alcune ragazze di terza media affermano di non credere più in niente: una volta gli hanno fatto loro credere a Babbo Natale, allora dicono: “Perché Dio, Gesù, gli angeli, tutte queste cose non sarebbero come Babbo Natale?”.

In realtà, esse non pensano veramente quello che dicono, si pongono però seriamente la domanda. Per andare oltre, in una celebrazione, esse hanno potuto creare una preghiera che riprendeva il loro interrogativo: “Signore, aiutaci a credere, aiutaci a comprendere che tu puoi esistere. Mandaci la tua luce”.

Ugualmente, alcuni allievi di prima media (11 anni) si chiedono se davvero Gesù ci abbia veramente salvati dal Male, e arricchiscono la loro argomentazione di tutte le sventure dell’attualità televisiva.

Uno di loro, conciliante, dice anche: “Se ci sono ancora queste cose, vuol dire che Gesù ci ha salvati solo dalla metà del male”. Un altro afferma più decisamente che Dio non è buono: “Il mio fratellino è morto quindici giorni fa”. Difficile uscire da questa situazione…

Ma per quanti dei ragazzi hanno veramente voluto partecipare a una celebrazione, la preghiera è diventata un interrogativo, una richiesta di significato. Alcuni fanciulli hanno allora potuto percepire che il pregare aveva un rapporto vitale con le loro domande.

Le nostre celebrazioni della penitenza, anche in ambiente scristianizzato, sono spesso troppo centrate sulla colpa individuale. Si chiede ai partecipanti di fare un esame di coscienza in risposta alla Parola di Dio.

Ma molti ragazzi non ci sono ancora arrivati, anzi alcuni non si sentono assolutamente peccatori, piuttosto vedono il torto negli altri. Tuttavia si pongono domande generali sul male, la morte, l’ingiustizia… e quindi sull’amore di Dio. Essi “camminano nelle tenebre”, ma la dimensione morale non è ancora la loro prima preoccupazione.

È certo deplorevole, ma è così. Pregare allora significa anche interrogare Dio su Dio. Pensiamo a Giobbe! Quando la preghiera diventa domanda, è perché l’uomo comincia a volgersi verso Dio per cercare un significato alla sua vita.

Tale procedimento non è spontaneo, né automatico. L’animatore della catechesi dovrà cercare, fin da quando la domanda comincia a esprimersi, di trasformarla in preghiera. La sua testimonianza di fede adulta potrà allora avere un’eco nel cuore dei fanciulli, ma non dovrà mai essere la schiacciante espressione di un sapere sicuro di sé; sarà invece l’umile risposta vacillante del credente che condivide uno stesso disagio con gli uomini, suoi fratelli, fino alla morte.


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