Beniamino Pizziol
Soltanto Matteo, nel suo vangelo, indica se stesso con il proprio nome, che significa “dono di Dio”, mentre gli altri evangelisti, quando raccontano questo episodio (Mt 9,9-13), lo chiamano Levi, il suo secondo nome.
Matteo si riconosce come un pubblicano chiamato da Gesù, uno di quei pubblicani, disonesti e disprezzati dagli Ebrei, collaboratori dei Romani. Il fatto che Gesù chiami un pubblicano è uno scandalo.
Matteo, pubblicano perdonato e chiamato, ci fa capire in che cosa consista la vocazione dell’apostolo: essere segno della misericordia di Dio. Gesù infatti dice: Andate e imparate cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”.
Soltanto una persona che ha sperimentato la misericordia di Dio è preparata per essere un vero apostolo. Il vero apostolo, come dice Paolo nella lettera agli Efesini (Ef 4,1-7), è pieno di umiltà, dolcezza e magnanimità, si china sui peccatori, li aiuta a rialzarsi.
Chiediamo al Signore di farci avere questo profondo senso della nostra miseria, del nostro peccato e della sua grande misericordia. Nella lista dei dodici apostoli, Matteo è l’unico che mette il termine “pubblicano” accanto al suo nome.