XXIII domenica del T.O. anno B

Is 35,4-7a   Sal 145    Gc 2,1-5   Mc 7, 31-37

È un racconto strano ed articolato quello che l’evangelista Marco ci presenta e molti sono gli interrogativi che pone.

Innanzitutto è il percorso stesso di Gesù che è geograficamente improponibile, va a nord per raggiungere una città posta a sud, attraversa il “mare” di Galilea per tornare in un luogo dove aveva già operato scacciando i demoni e da dove era stato però invitato ad andarsene e a non tornare.

A questo punto capiamo che dobbiamo superare la geografia e pensare ad un luogo “teologico” che non ha coordinate geografiche ed infatti le azioni descritte dall’evangelista: uscire, attraversare, passare all’altra riva e porsi in mezzo, ci conducono per mano a considerare l’intero percorso umano di Gesù.

Egli esce dal cielo per incarnarsi ed  attraversare così ogni luogo ed ogni tempo, è il suo esodo continuo per entrare nel cuore di ogni essere umano e, passando attraverso la sua morte e risurrezione, stare nel mezzo di ognuno di noi frapponendosi tra noi e la “Legione” che ci incatena: è il suo viaggio di sempre, un percorso per la nostra salvezza e la nostra liberazione dalla schiavitù.

“Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio…..Egli viene a salvarvi!

Ognuno di noi si trova al suo cospetto o vi è portato da altri che per la loro fede intercedono per noi; l’incontro con Gesù avviene in una comunità che si rende conto della condizione di malattia in cui tutti ci troviamo, quella di una struttura mentale che non fa parlare correttamente perché non permette di sentire correttamente e che ha speranza di guarire solo per l’azione di salvezza del Cristo, il Signore che rimane fedele per sempre e libera i prigionieri…il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

Gesù però sembra non voler attorno nessuno: né la folla, né i discepoli, né chi ha portato il malato sembrano essere presenti alla guarigione. Il sordo è balbuziente, è già separato dalla relazione con gli altri, ma ora è Gesù stesso che lo separa da tutti per fargli vivere un incontro profondo e personale con Lui, per ricrearlo completamente, per ridargli la dignità di vivente e la possibilità di essere parte di una comunità.

Questo ci aiuta a lasciare la nostra idea di malattia, a superare anche la dimensione del corpo, siamo a livello di una sordità interiore che solo Dio può guarire. Infatti come non pensare a Dio che con la Parola separa la luce dal buio, che impasta la terra per creare un essere che rende vivente con il suo soffio!

Tutto il racconto di Marco ci conduce per mano in questa nuova creazione in cui sono presenti Dio che riplasma la nostra terra e lo Spirito che soffia la Vita: il grido di Gesù “Effatà” “Apriti!” è un urlo di parto, è il far nascere un uomo nuovo in grado di ascoltare la Parola di Dio e non la voce del serpente, di poter parlare una lingua nuova, di avere una relazione diversa con il suo creatore e con i fratelli.

È troppo presto per gridare al miracolo, tutti devono percorrere un lungo cammino nel deserto prima di capire, “avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite”, (Mc 8, 18), devono mangiare il pane di Dio, “mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati”,(Mc 8,8), aprire gli occhi ad una nuova consapevolezza “egli ci vide chiaramente e fu guarito”, (Mc 8,25), adesso è tempo di tacere e meditare e di mettersi in cammino dietro a Gesù verso Gerusalemme.

Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?    

                                                                      Graziella Tessarolo


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