Il Nome di Dio

Daniele Garota

Il Dio d’Israele è un Dio vivente che ama creature viventi, è dunque Dio dei vivi non dei morti. Ed ha un nome, un nome veneratissimo e impronunciabile: Jhwh. Quando un ebreo incontra quel nome leggendo la Scrittura sacra dice Adonai, “Signore”, oppure Hashem, “Il Nome”.

Fin quando c’era il tempio, soltanto al gran sacerdote di turno era consentito, una volta all’anno, pronunciare quel nome, quando entrava nel Santo dei Santi nel giorno di Kippur. E si narra che ne ricordasse la pronuncia solo un attimo prima di entrare per poi dimenticarla appena uscito. Da quando il tempio non c’è più quel nome nessuno l’ha più pronunciato e se ne è perso per sempre il suono.

Secondo certe tradizioni quel nome fu rivelato per la prima volta a Mosé sull’Oreb, quando Dio gli parlò dal roveto ardente. Più che un nome tuttavia, Dio lì rivelò una affermazione, un carattere: “Io sono colui che sono!”. Cosa dovrà dire Mosé agli israeliti che gli chiederanno: chi ti ha mandato? Questo: “Io-Sono mi ha mandato a voi” (Es 3,13-14).

Non lasciamoci però imbrogliare da quel modo di interpretare tutto filosofico che da sempre tenta di definire l’essenza del divino. Dio qui non vuole indicarci il proprio Essere, vuole invece annunciare cosa ha fatto e farà: è un Dio che promette e che mantiene promesse, un Dio che ha un nome e che chiama per nome gli uomini.

Dio è colui che agisce, che farà vedere chi è, attraverso quello che farà nel tempo e nella storia: il vero luogo di Dio e di coloro che credono in lui è il futuro. Dio ascolta il grido di coloro che soffrono e scende a liberarli, perché il suo non è l’ascolto di un sovrano che troneggia impassibile e intoccabile nei cieli, ma l’ascolto di un Dio capace di soffrire con le sue creature.

Dio entra in comunione profonda con la storia degli uomini per condividerne la gioia e il dolore. Gli israeliti che escono dall’Egitto per mano di Dio sentono che pure Dio in qualche modo esce insieme a loro da quelle stesse sofferenze.

Quando essi leggono che Dio è colui che li ha fatti “uscire dal paese d’Egitto” (Es 20,2), si fermano a riflettere, e scoprono che la parola ebraica hozethikha, “che ti ho fatto uscire”, è scritta in modo che si possa anche leggere huzethikha, “io sono stato fatto uscire con te”. Qualora si potesse si dovrebbe allora dire: “Dio disse: ‘Io e voi siamo usciti insieme dall’Egitto nella libertà’” (Pesiqta Rabbathi, 21).


Lascia un commento