Chiesa evangelizzante? (1)

Enzo Bianchi

Credo sia importante ricordare che oggi la missione non è rivolta solo alle genti ma riguarda le nostre chiese. Se alla fine della seconda guerra mondiale il cardinale di Parigi parlava della Francia come di una terra di missione, oggi siamo tutti convinti che l’Europa è terra di missione, come scrive il teologo Christoph Theobald.

Viviamo in un’epoca che non è soltanto secolarizzata: siamo in un’epoca post-cristiana, e nelle nostre terre di antica cristianità ci sono delle situazioni che fanno sì che la missione sia quanto mai urgente. Soprattutto le nuove generazioni, quelle dei millennials, sono segnate da una profonda indifferenza verso la religione, verso la ricerca di Dio, verso l’appartenenza alla chiesa.

Sta avvenendo una rivoluzione silenziosa che cambia profondamente il volto delle nostre comunità, nelle quali le nuove generazioni e le donne sono la chiesa che manca, secondo l’efficace espressione di don Armando Matteo. Sì, sta avvenendo una rivoluzione silenziosa che cambia e cambierà profondamente il volto delle nostre comunità.

Abbiamo sognato una chiesa evangelizzante e invece ci troviamo di fronte a una chiesa in realtà non evangelizzata e con generazioni senza più alcun contatto con la fede cristiana. In questa situazione inedita occorrerebbe da parte nostra una capacità di lettura, un esercizio di discernimento per assumere la responsabilità della mancata trasmissione della fede alle nuove generazioni.

Non basta parlare dei millennials, bisogna riferirsi ai loro padri e alle loro madri, cioè la prima generazione che ha veramente tradito la trasmissione della fede, a partire dalla famiglia e dai vari contesti educativi. Risulta evidente che in una chiesa così debole va riconosciuta ormai una crisi di fede: dobbiamo avere il coraggio di dirlo, il problema è la debolezza della fede! Ma allora quale missione e quale evangelizzazione, non nei mezzi, ma alla radice?

Occorre innanzitutto prendere coscienza dell’indifferenza regnante nei confronti di Dio e della ricerca di lui. Da anni ormai ripeto che la chiesa deve prendere atto di tale indifferenza, ma sembra che in realtà nessuno ci voglia credere, e così si continuano a studiare le strategie per l’annuncio, nella stessa maniera di prima. Per le nuove generazioni – ma anche per alcuni delle generazioni post ’68 – Dio non è più interessante, non è più necessario per vivere bene, nella felicità.

Si continuano a ripetere alcuni slogan ma, se si ascoltano veramente i giovani, si comprende che stanno bene senza ricerca di Dio. Il problema è eventualmente quello della “gratuità” di Dio, il che ci richiede nuovi atteggiamenti per annunciarlo: Dio non sta più nello spazio della necessità! Dio è addirittura una parola ambigua, respinta dalle nuove generazioni, perché spesso è legata al fanatismo religioso, all’intolleranza, alla violenza.

Per molti aspetti, fatte le dovute differenze, siamo in una stagione analoga a quella dei primi secoli della chiesa, quando i cristiani per difendere la loro singolarità avevano il coraggio di dire: “La parola ‘Dio’ non è un nome per noi cristiani, è un’approssimazione 2/3 naturale dell’uomo per descrivere ciò che non è esprimibile” (Giustino).


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