Catechismo?

Sandro Manfre’

Ho incontrato l’altra sera una mamma, nostra amica, ricoverata in ospedale in attesa di un serio intervento. Il discorso è caduto sulla ripresa degli incontri di catechismo dei figli. Mi diceva: «Per me non c’è discussione: prima viene il catechismo e poi tutti gli altri impegni! Non capisco chi la pensa diversamente, se dice di aver fatto una scelta di vita cristiana…». Peccato che purtroppo non tutti la pensino così.

All’inizio dell’anno pastorale si affaccia l’angosciante incontro con i genitori per decidere il giorno e l’ora del catechismo dei propri figli. Di solito per quanta riguarda gli impegni extra-scolastici, si arriva già con le scelte fatte e si chiede al gruppo di adeguarsi alle proprie esigenze, altrimenti pazienza,… salta il catechismo.

E’ triste accorgersi che il catechismo è considerato da molti genitori come un impegno secondario: si è giustamente preoccupatissimi affinché i figli facciano sport per stare in salute, che crescano in cultura con corsi di lingua e di musica, che imparino a socializzare con gli altri, ma  basta tutto questo o c’è ancora qualcosa di molto importante da donare ai figli?

Certo, se pensiamo che la fede sia una serie di nozioni da imparare, allora direi che il catechismo può anche essere tralasciato. Qui però non si tratta di far conoscere “dottrine” a cui tutti siamo allergici, si tratta di preparare il terreno buono dove  un giorno, quando i figli saranno adolescenti e giovani, possa cadere il seme della Parola del Signore che viene a trasformare la nostra umanità.

Si tratta cioè di accompagnare i nostri figli fin dalla più giovane età ad essere curiosi, a farsi domande, a non accontentarsi della superficie delle cose, ma a scavare sempre più a fondo, perché è andando in profondità che troviamo la ricchezza della nostra umanità. A me piace far catechismo ai bambini, perché li vedo interessati e divertiti a scoprire col gioco i legami tra un’immagine e l’altra, una situazione e l’altra che essi trovano nella Bibbia.

Imparano ad essere curiosi e a farsi domande (che spesso spiazzano noi grandi), imparano a non essere passivi e ad usare la loro intelligenza (intus legere vuol dire appunto saper leggere dentro); in una parola significa far crescere in loro quello che ci contraddistingue di più: l’interiorità, la parte più intima di noi che, ripeto, cresce non dando nozioni, ma favorendo la ricerca, la domanda, addirittura l’inquietudine.

Ci accorgiamo di quanto vuoto interiore c’è in noi e negli altri? Quanta superficialità c’è nell’affrontare le situazioni e le relazioni?… Se il catechismo è questo, vale la pena partecipare.

 


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