XVIII domenica del T.O. anno C

Qo 1,2; 2,21-23. Sl 89. Col 3,1-5.9-11. Lc 12,13-21. Perché Gesù si rifiuta di fare da giudice o mediatore in una questione di eredità? Non certo per incompetenza, piuttosto per l’ambiguità della richiesta: il richiedente probabilmente cercava di coglierlo nel flagrante delitto di sostituirsi alla Legge e ai legislatori istituiti… Gesù così rinvia il tale alla Legge stessa, che gli avrebbe certo donato le regole necessarie per risolvere il contenzioso col fratello.. Avrebbe anche potuto riandare all’esempio di Abramo, quando si separò da Lot (Gn 13-15): Abramo preferì salvare la relazione fraterna con Lot, il quale scelse invece la terra più fertile, ma vicina a Sodoma, luogo poco raccomandabile. Alla fine solo Abramo ricevette un’eredità di ben altra natura!

L’insegnamento di Gesù al tale della folla non può semplicemente essere ridotto a un invito a disprezzare le cose mondane e ad apprezzare la povertà: la parabola racconta di un uomo che ha perso di vista il presente, vive nel sogno del domani, in attesa di un tempo nel quale avrebbe goduto di pieni poteri, re assoluto della sua vita… signore al posto del suo Creatore. Dimentica in realtà che egli non è padrone né del suo tempo né della vita stessa.

Gesù sembra invitarci ad essere… più realisti di tale uomo! Accettando i nostri limiti, riconoscendo che siamo hebel, fiato (significato letterale del termine vanità), siamo cioè esseri fragili, possiamo soltanto dipende dal nostro Creatore e ricevere da Lui ogni giorno il cibo necessario ( come ricorda il dono della manna nel deserto: Dio dona il cibo necessario per ciascuno, non serve l’accumulo..).

Ci fa bene allora la riflessione del Qoèlet che ci richiama alla nostra insufficienza esistenziale, che chiede di essere colmata dalla benevolenza del Signore. E’ infatti Lui ora che rende possibile il nostro arricchirci davanti a Dio, perché  la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio, capaci di guardare alle cose di lassù e di far morire in noi tutto ciò che appartiene alla terra, vale a dire ogni forma di egoismo e di cupidigia.

Sandro Manfrè


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