Bartolomeo e l’incontro personale

Pierangelo Ruaro

L’apostolo Bartolomeo, collocato nell’elenco dei Dodici presente nei sinottici accanto a Filippo, è ricordato dall’evangelista Giovanni con il nome di Natanaele (che signi<ica «dono di Dio») ed è salutato da Gesù come «un Israelita in cui non c’è falsità».

Bartolomeo-Natanaele è presentato come un uomo molto concreto, restio a correre dietro a entusiasmi che ai suoi occhi appaiono fragili se non vengono personalmente verificati. All’entusiasmo di Filippo Natanaele risponde scettico: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Ma, proprio a partire da questo interrogativo, inizia per Natanaele un cammino che lo porterà a incontrare Gesù e a riconoscerlo come Figlio di Dio e
re d’Israele.

Proviamo a ripercorrere qualche tappa di questo cammino, riconoscendo in esso un itinerario su cui verificare la nostra fede e la nostra sequela. All’inizio di questo cammino c’è la testimonianza di qualcuno che ha incontrato Gesù: un discepolo, affascinato da Gesù e felice di averlo incontrato, si fa testimone, si fa occasione perché
un altro diventi discepolo.

L’incontro con Gesù, quando scende in profondità e cambia il cuore, quando si fa reale esperienza, è sempre contagioso. Il «contagio» può non essere immediato, ma ciò che è necessario è l’incontro personale, il lasciarsi incontrare da Gesù. E così avviene per Natanaele.

Ciò che provoca un capovolgimento in questo israelita è lo sguardo di Gesù che penetra in profondità, nel cuore e nella vita di Natanaele. Quello sguardo che scruta il cuore può essere solo lo sguardo di Dio. Natanaele ha riconosciuto il Messia perché si è sentito «riconosciuto» da lui nella sua realtà più vera e profonda. Qui c’è anche tutta la nostra storia: Gesù, prima di chiamarci alla sua sequela, conosce le nostre vie e il nostro cuore.

Chiediamogli di sciogliere in noi ogni resistenza e come Natanaele di renderci disponibili ad accogliere il suo sguardo e la sua parola, perché possiamo anche noi confessarlo, Figlio di Dio e e d’Israele.


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