Risurrezione

di Francesco Bari

Il racconto della mattina della risurrezione di Gesù, nella versione che ne dà l’evangelista Matteo, è una scena che si annuncia dolcemente, con i colori tenui e delicati dell’alba. L’alba, un momento del giorno, in realtà, in cui le cose devono ancora scrollarsi del tutto di dosso il pesante e oscuro velo dell’ombra della notte.

Un’ombra simile a quella della sagoma delle due donne che entrano in scena, camminando, verso la tomba di Gesù. Un’ombra, forse più simile a quella che grava nel cuore di queste due “amiche del cuore” di Gesù, Maria Maddalena e l’altra Maria, all’alba del giorno che segue quello terribile precedente, sprofondato nell’ombra più nera già alle tre del pomeriggio: quello in cui Gesù viene ucciso, in cui l’amore viene schiacciato, spremuto fino al sangue.

E poi di nuovo, sulla scena, un’altra irruzione, violenta, improvvisa. Dall’alto, questa volta: un angelo del Signore, scende dal cielo e rotola via, muscoloso, la pietra che chiude il sepolcro e vi si siede sopra.

Si sente tutta la concitazione e la lenta e progressiva presa di coscienza di un evento, la risurrezione, che si pone come sulla soglia tra la realtà materiale dei fatti in cui sono calati i diversi personaggi e il cuore stesso di questi personaggi. Come quando si scatenano certi terremoti della vita che scuotono tremendamente o felicemente le fondamenta della nostra esistenza: quando irrompe in essa la sventura o quando a farlo è il dono della vita, dell’amore, della libertà, della gioia purissima, della bellezza… C’è un’esteriorità delle cose, ma puoi anche andare a vedere che conseguenze hanno lasciato nel cuore dei protagonisti.

Mentre queste irruzioni di vita, con i loro tremori e bagliori lasciano alcuni come morti, per altri, in questo caso, per le “altre”, è l’inizio di qualcosa di grande, una ventata di ossigeno, di novità, di vita, di luce, di gioia, di riscatto che finisce per invaderle da dentro a fuori e proiettarle in una direzione ben precisa: sorgono nei loro cuori il “timore”, una categoria biblica che esprime la relazione con Dio, e una “gioia grande”. E invertono la direzione del loro movimento, del loro “progetto”: mentre prima erano dirette verso una tomba, ora si girano e corrono verso gli altri, i discepoli, per condividere ciò che l’irruzione di una forza divina ha fatto loro scoprire, imparare e che non le può lasciare come prima.

Ma non finisce qui: subito dopo che il terremoto ha scosso la loro vita e l’esplosione di luce le ha pervase fin dal profondo del cuore colmandole di timore e gioia, e tutto questo le ha spinte sulla nuova direzione di marcia, opposta a quella precedente, non verso una tomba, ma verso gli uomini, gli amici, gli altri discepoli, per dire loro che l’Amore è vivo e che devono mettersi in viaggio per andare a incontrarlo in Galilea, ebbene, Gesù stesso in persona gli si para davanti! Un nuovo contraccolpo potentissimo, un nuovo approdo.

Da un punto di vista umano trovo bellissimo, e probabilmente non casuale, che Matteo abbia messo due donne nel ruolo delle protagoniste positive di questa rocambolesca scena: in questi contraccolpi emotivi, in questi potentissimi chiaroscuri, due uomini sarebbero morti d’infarto! E infatti le due guardie, annota l’evangelista, furono scosse e rimasero come morte.

Solo le donne hanno un cuore così largo ed elastico da riuscire ad ospitare in sé, senza soccombere, certi opposti della vita; negativi o positivi che siano. E d’altra parte le donne vivono la tensione di alimentare nel loro ventre, contemporaneamente, la vita e la morte, sperando, fin dai primi attimi che vinca la vita, ma sapendo che potrebbe non essere così. Una tensione estrema, che non la fantasia, non la forza, non la magia possono risolvere, ma solo la risurrezione.

 


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